Il ricorso ai criteri suppletivi dettati dall’art. 9 c.p.p. assume carattere residuale per il caso che non sia possibile accertare il luogo della consumazione del reato.
La diffamazione è un reato di evento che si consuma nel momento e nel luogo in cui i soggetti – terzi rispetto all’agente all’offeso – percepiscono l’aggressione offensiva.
L’e-mail è una comunicazione diretta a un destinatario predefinito ed esclusivo, al quale viene recapitata informaticamente presso il server di adozione, collegandosi al quale attraverso un proprio dispositivo e utilizzando delle chiavi di accesso personali, questi può prenderne cognizione.
Mentre per la comunicazione veicolata dal web o dai social media il requisito della comunicazione con più persone può presumersi sulla base dell’inserimento del contenuto offensivo nella rete, per accertare l’effettiva realizzazione dell’evento lesivo nella diffamazione a mezzo e-mail è necessaria quantomeno la prova dell’effettivo recapito della corrispondenza elettronica, sia esso la conseguenza di un’operazione automatica impostata dal destinatario ovvero di un accesso dedicato al server.
La lettura delle e-mail da parte dei destinatari può presumersi salvo prova contraria.
Contro le sentenze di appello pronunziate per reati di competenza del Giudice di Pace non può essere proposto ricorso per cassazione per motivi diversi da quelli previsti dalle lett. a), b) e c) dell’art. 606 c.p.p., rimanendo dunque inibita la prospettazione di meri vizi della motivazione.
F. Riboldi, I criteri per la determinazione della competenza territoriale nella diffamazione telematica: l’accertamento dell’evento tra rigore tecnico e ricorso alle presunzioni, in Media Laws, Rivista del diritto dei media, 3/2023.